Il rapporto che si instaura tra medico e paziente dovrebbe fondarsi sulla fiducia, sulla serenità, sulla tranquillità.
E' un rapporto particolare perchè il paziente si trova in una situazione di vulnerabilità data dalla sua patologia, e affida la propria vita e la propria salute a sconosciuti che in qualche modo hanno votato la loro esistenza alla cura e al benessere di chi ne ha bisogno.
Almeno così credevo.
Mi chiamo Monica, ho 27 anni e sono sposata con Luca da 1 anno. Mi hanno diagnosticato un fibroma di 6 cm all'utero, pertanto è necessario subire un intervento. Quella mattina avrei dovuto completare la preospedalizzazione; torre A piano terzo.
Attendo il mio turno.
-"Prego, si accomodi". L'infermiera giovane e gentile mi fa entrare in reparto e si appresta a spiegarmi le varie procedure in tempo di covid prima di effettuare il tampone. Avrei dovuto fare numerosi esami quel giorno e poi tornare in reparto per concludere l'iter e definire le ultime cose col dottore. Così, in ormai tarda mattinata,mi reco da lui. Mi accoglie in ambulatorio; serio, professionale e cordiale. Sulla sessantina, piuttosto basso, magro un pò calvo e con gli occhiali da vista sulla sua grande mascherina bianca. Mi spiega nuovamente l'intervento che avrei dovuto subire e le modalità attraverso le quali sarebbe stato effettuato.
-"Si è sposata da poco vero? Ed ha intenzione di avere dei figli? Ecco, il fibroma è in una posizione tale che potrebbe compromettere una eventuale gravidanza; andremo d intervenire per eliminarlo e per scongiurare problemi nel concepimento".
Sono un pò preoccupata; anestesia totale, operazione, esiti, complicazioni... ma penso che se è necessario per il mio futuro bambino devo solo avere coraggio e fiducia nei dottori.
Toglie gli occhiali per poggiarli sulla scrivania. Mi rivolge uno sguardo comprensivo.
-"Ti senti preoccupata?" Annuisco. "Non devi, perchè la nostra equipe è molto professionale e preparata. Affrontiamo interventi di questo tipo quotidianamente, andrà bene".
Mi prende la mano.
Questo mi coglie di sorpresa, soprattutto in tempo di pandemia, così come il passaggio istantaneo dal "lei" al "tu", che però attribuisco alla nostra differenza di età e alla volontà di darmi conforto.
Ma lui continua a tenere la mia mano nella sua accarezzandola col suo pollice, e mi fissa negli occhi con uno sguardo profondo e intenso.
Comincio a sentirmi un po' a disagio, e ritiro la mano.
Confusa e un po' spaesata, mi guardo intorno. L'infermiera non accenna a tornare ed il via vai del reparto sembra così lontano da quello studio. Sulla sua scrivania la foto della sua famiglia;una bella moglie e due figli, più o meno della mia età.
-"Non preoccuparti, andrà bene." Continua a fissarmi.
"Sai che hai degli occhi davvero stupendi? Si vede che sei una persona bella sia fuori che dentro. Con questo sguardo incanti...affascini..."
Abbassa lievemente il tono di voce nel pronunciare queste parole. lo fa diventare quasi un sussurro lascivo e sibilante.
Disorientata e sempre più a disagio, sorrido imbarazzata. Non so cosa dire, mi sembra un pò surreale così faccio una domanda sulle tempistiche del ricovero e della ripresa post operatoria per cercare di riportare la conversazione su quello che mi interessa.
-"Si tratta di 3 giorni al massimo, considerando esito positivo, vedrai che presto tornerai a casa. Peccato che non viviamo nella stessa città!!".
Peccato? Perchè? Che senso ha quell'affermazione? La risposta alle domande nella mia mente arriva subito.
-" Avremmo potuto vederci più spesso, invece così ho poche occasioni di incontrarti...che peccato!".
Mi riprende la mano.
-" Ti da fastidio che ti prendo la mano ?"
A quella domanda così diretta sono ancora più stranita...la ritraggo. "No, in genere no, può essere di conforto" rispondo incerta sempre più a disagio e più spaesata. Comincio a guardare la porta e l'orologio."Bene se è tutto allora, dottore, io andrei, ci vediamo il giorno del ricovero, arrivederci"
-"Si certo! Sei così bella! Tornerai in forma in pochissimo tempo e poi mi dispiacerà non poterti vedere ancora. Che peccato che vivi in un'altra città!".
Mi alzo per andarmene; mi sento turbata, ho la gola secca e sono confusa.
Non sono una sprovveduta ingenua. Mi è capitato di ricevere dei complimenti e delle avances, ma è la prima volta in una situazione di soggezione in cui la mia salute dipende dalla persona che sta avendo questi atteggiamenti. Ed è la prima volta che mi sento così tremendamente a disagio.
Sto interpretando male? Forse voleva solo essere gentile, come con una figlia un pò spaventata?
Eppure no! C'era di più...una sensazione di viscido e bavoso mi attraversa il corpo. Sono un pò disgustata. Mille domande mi affollano i pensieri. "Cosa mi faranno quando sarò completamente incosciente? Sola, senza vestiti..." Prendo seriamente in considerazione l'idea di non sottopormi all'operazione, esclusivamente per le sensazioni suscitate in me dall'atteggiamento ambiguo del dottore.
Ne parlo con Luca che nota il mio turbamento all'uscita dall'ambulatorio.
-"Amore, non preoccuparti,avrà un modo di fare un pò da piacione, ma sarà innocuo. Anche una mia amica è stata operata da lui e mi ha accennato di un suo modo di fare diciamo "simpatico", magari è così con tutte le ragazze, ma solo per metterle a loro agio e tranquillizzarle per via dell'intervento, niente di più".
Sarà, ma a me quell'atteggiamento non mi ha lasciato una sensazione di tranquillità, tantomeno di simpatia.
Ci penso su qualche giorno senza parlarne con nessuno per non sentirmi dire che sono esagerata, che vedo cose che non esistono, che sono troppo sensibile e così via. Decido di sottopormi all'intervento: se anche non mi fido del dottore come persona devo fidarmi di lui come professionista del settore. Voglio e devo guarire.
Quasi nuda, il freddo della sala operatoria e la paura mi fanno tremare su quel lettino illuminato da strane luci. L'anestesista cerca di tranquillizzarmi suggerendomi pensieri positivi e luoghi in cui avrei voluto essere, paesi da visitare con la mia famiglia..."No, ma perchè deve partire per forza col marito!I viaggi si possono fare anche da soli eh! può essere più divertente...!"-Risate dei presenti-.Queste le ultime parole del dottore che ricordo. Quando mi sono svegliata c'era Luca ed avevo solo ancora tanto sonno e un pò di bruciore.
I giorni successivi il dottore è venuto a controllare il mio post operatorio, accompagnato da altri medici o infermieri ed è sempre stato molto gentile e professionale, non accennando a nulla e senza alcun atteggiamento ambiguo, tant'è che ho pensato di aver davvero travisato tutto, di essere stata sciocca ad allarmarmi per nulla e mi sono rasserenata. Mi faceva piacere sapere che mi avrebbe dimesso lui effettuando gli ultimi controlli, perchè si è più tranquilli quando si è curati dallo stesso medico che ha condotto l'intervento; conosce la situazione nel dettaglio e può essere rassicurante avere la sua ultima parola sopra tutte le altre. Così mi ritrovo nuovamente nell'ambulatorio.
Mi accoglie sulla porta, e nell'accompagnarmi verso la sedia mi tocca la schiena, dalle spalle fino al bordo dei pantaloni in una lunga carezza infinita. Mi irrigidisco subito.
L'infermiera ci raggiunge portando delle cartelle cliniche e, mentre mi fa accomodare non sulla sedia difronte alla sua scrivania, ma su un'altra accanto a lui, mi chiede del mio lavoro, dei miei hobby e di quello che avrei fatto non appena mi fossi ripresa del tutto. All'improvviso se ne va richiamata da un qualcosa e rimaniamo soli io e il dottore.
-"Guarda cosa devo inventarmi per stare altri 5 minuti da solo con te! Refertare altri casi!" e ride.
Nuovamente quella strana sensazione di confusione si insinua dentro me.
Mi prende la mano. "Ti da fastidio se ti prendo la mano?" Dinuovo quella domanda. La ritraggo educatamente e rispondo "No, dottore è che ho le mani molto screpolate e.." mi interrompe e questa volta sembra più veloce e diretto, quasi sulle spine guardandomi fisso negli occhi e mi chiede:-" Credi nella chimica dell'approccio a pelle?". Non capendo, o non volendo capire quella domanda ( il mio essere si rifiutava di accettare quello che stava accadendo), guardandolo stralunata rispondo di si.
-"Fin dalla prima volta che ti ho visto i tuoi occhi mi hanno rapito e affascinato. Hai uno sguardo stupendo che incanta...ma non solo lo sguardo". I suoi occhi scendono sul mio corpo lentamente diventando sempre più liquidi. "Non solo quello" ripete. La sua mano ora è sulla mia coscia.
Sono incapace di muovermi e non so perchè, sono atterrita. Cerco di raccogliere i pensieri, mi sposto di fretta e gli chiedo cosa ha scritto sul foglio delle dimissioni in modo da poter andare via. " Sa c'è mio marito che mi aspetta fuori dal reparto".
L'ansia sale. Guardo la porta. Perchè non passa nessuno? Gli ospedali di solito sono così affollati!
Dal sorriso nervoso sono passata alla consapevolezza triste. Quell'uomo che poteva benissimo essere mio padre, stava sfruttando la sua situazione di "superiorità" e la fiducia che avevo riposto in lui, come mezzo per rivolgermi le sue attenzioni non volute.
-"Penso di essere stato chiaro con te fin dal primo momento. C'è qualcosa in te, nel tuo sguardo che mi ha completamente rapito e stregato. Peccato che non abiti qui, ma ti trovo facilmente. Tanto tuo marito la mattina lavora.."
Non potevo più fingere di non capire nè essere poco chiara eppure dovevo e volevo mantenere un atteggiamento educato e controllato. Non potevo affrontare il discorso in maniera sincera e diretta, perchè si sa in questi casi il confine tra sincerità e ambiguità è labile,
Ci guardiamo negli occhi, non ho intenzione di abbassare lo sguardo, perchè mi ha scandalizzato e turbato e devo comunicarglielo in qualche modo. "Dottore lei è un adulatore. Ora vorrei andare".
-"Posso chiamarti per sapere come stai?". "Grazie, ma mi sembra che dal momento che sto bene non c'è bisogno". Mi alzo di scatto e mi avvio alla porta senza più guardarlo.
-"Un saluto a sua moglie".
-"Mi saluti suo marito".
Il viscidume non ha età, nè laurea, nè specializzazioni appese alle pareti. Ho lavato immediatamente le mani quel giorno appena uscita dal reparto e poi ho pianto un pò per la tensione accumulata.
Lui è stato accorto; pur notando il mio turbamento ha apparentemente cercato il consenso per ogni cosa, per cui sarebbe davvero difficile dimostrare che quello che ho subito si chiama molestia.
Quella situazione di disagio data da un atteggiamento non voluto che mi ha turbato- al punto da avere dubbi sul perseguire una cura- anche e soprattutto perchè compiuta da una persona che svolge un ruolo pubblico di sostegno nella società. Il suo atteggiemento sarà un caso sporadico oppure reiterato? Non lo so...ma è passato un pò di tempo ed ancora se chiudo gli occhi sento la sua mano sulla mia coscia e vedo lo sguardo liquido sopra la mascherina.
Ho imparato che noi donne abbiamo un sesto senso e che dovremmo ascoltarlo molto ma molto di più. Invece spesso ci raccontiamo bugie, ci sentiamo esagerate,sbagliate, quelle che vedono il marcio dove non c'è...ebbene in realtà spesso è proprio dove non potremmo e non vorremmo immaginare.
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